Ieri mattina mi sono ritrovata a mandare un messaggio a una mia amica, compagna stabile di tutte le manifestazioni a cui ho partecipato. Le ho scritto “l’uomo contro il quale abbiamo manifestato mille volte è morto. Lui è passato, ciò che ha fatto è ancora qui”.

Ed è questo, infatti, quello che penso da lunedì, da quando è uscita la notizia e ho sentito su di me – nata negli anni ’80 e vittima di tutto quello che, con precisione, ha spiegato Carlotta Vagnoli – come un dovere di riflettere su di lui e su ciò che ha significato per la mia generazione.

E, complice la lettura di un elzeviro di una nota giornalista e a funerali fatti, ho raccolto intanto le idee su ciò che Berlusconi ha significato per la figura della donna in Italia.  

Nei primi decenni del ‘900 eravamo vittime di un potere patriarcale profondamente radicato nella nostra cultura, coadiuvato da due fattori fondamentali: la bassissima scolarizzazione delle donne e la negazione del loro diritto al voto. Poi le cose sono cambiate. Complice il boom economico più donne hanno potuto studiare, gli assetti sociali sono mutati e le donne sono entrate nel mondo del lavoro, anche se – soprattutto – come operaie. E così il ‘68, la rivoluzione culturale, le conquiste come il diritto all’aborto e il divorzio. Era un nuovo punto di partenza per l’emancipazione delle donne, sorretto proprio dalla loro maggiore partecipazione e presenza nella società.

E, per questo, su alcuni aspetti non si poteva tornare indietro. La donna non era più completamente “santa”, nascosta, inferiore, la donna poteva aspirare a un nuovo posto nella società, anzi, finalmente poteva aspirare a un posto nella società. Le basi si erano formate, le lotte andavano avanti in un modo evoluto nelle trame della vita quotidiana… Eppure, ecco che appare un’altra immagine della donna. Nell’Italia anni ‘80, ubriaca di ricchezza, consumismo, potenza, avidità, dove anche il piccolo borghese poteva sognare la seconda casa al mare, nasce una rete televisiva dove quella culturalmente perfetta rotondità dell’ombelico di Raffaella Carrà – che sì, significava davvero libertà ed emancipazione – diventa l’ombelico urlato della “ragazza del Drive In”, simbolo del desiderio sessuale dell’uomo, con le loro gambe completamente nude e i seni coperti a malapena e – di nuovo, come 40 anni prima – sempre e solo accanto (ma un passo indietro) all’uomo che conduce il discorso, che ne fa scherno e la tratta come essere intellettualmente inferiore, come inutile complemento d’arredo. Tutto come prima, ma stavolta, in più, spogliata.

Nella generazione di chi era nato negli anni ‘60, ‘70 e ‘80, quella donna diventava un modello da cui era difficile scostarsi se in famiglia, a scuola, non ne venivano forniti gli strumenti per la decostruzione.

È stato fatto questo esempio da molte persone prima di me, ma lo ripeto perché rivela in modo lampante e chiaro cosa fosse quella televisione. Prendete un fermo immagine di una puntata qualsiasi di Striscia la Notizia: vedrete due uomini seduti, in giacca e cravatta, con tanto di targhetta col cognome e poi, accanto, prima ad agitarsi in un provocante balletto (in bella mostra, su una specie di palco) e poi in ginocchio, senza facoltà di parola e in bikini, due ragazze giovanissime, chiamate solo col nome, una bionda e una mora, così da accontentare tutti i gusti.

Giacca e cravatta e facoltà di parola (e soprattutto di battute) vs bikini e nessuna parola. Così, tutte le sere, tutti i giorni, tutto il giorno, tra veline, letterine e vallette.

Donna da mostrare, inderogabilmente bella e provocante, inderogabilmente disponibile agli sguardi, alle battute, all’uomo. Guardiamoci attorno, questo concetto è permeato anche nella musica, dove l’uomo può essere brutto, la donna no e – se non rientra nel concetto di bellezza – viene automaticamente trasformata in un “personaggio”. E lo notiamo anche quando, ad esempio, della partecipazione al Festival di Sanremo 2022 di Noemi si è parlato quasi esclusivamente dei suoi chili persi e quasi per niente della canzone proposta o quando, nelle recensioni dei dischi si legge un commento sull’aspetto fisico di una cantante, totalmente avulso dalla qualità o meno del suo prodotto discografico. Per fare un ultimo esempio, lo notiamo ancora fortemente quando, dal pubblico di un concerto, una cantante si sente rivolgere un umiliante e sgradevole “faccela vede’”, emblema di una convinzione che la donna sia un oggetto e l’uomo un simpatico guascone che tutto può dire, fare, volere.

Con l’intuito dell’uomo vincente d’affari (ovviamente di affari solo suoi), Berlusconi ha lanciato una televisione crassa, edonista, consumista, dove veniva (e viene) celebrato l’uomo di potere, ricco, “che non deve chiedere mai”; viene applaudito un maschilismo ormai esibito e l’uomo può dare sfogo a tutti i suoi formicolii e fornicazioni. Un uomo (vestito) che dispone di tante donne (svestite, quindi percepite inferiori) intorno a lui, in una televisione dove, se si analizza la maggior parte dei programmi tra reality e talk show, si dà troppo spazio e troppo riverbero a un essere umano bieco, incolto, ferino, urlante e guidato dai più bassi istinti; homo homini lupus.

Anni fa partecipai alla presentazione di un libro di uno storico uomo di televisione deceduto da poco, che aveva costruito prima la Rai e poi Mediaset. Alla mia domanda sul perché lui, giornalista profondo, ideasse e promuovesse tali programmi, rispose “perché questo è ciò che vuole il pubblico”. Mi dissi che aveva ragione, rimasi ferma su questa frase per un po’. Poi, ormai a incontro finito, realizzai che, forse, fosse più giusto dire che “questo è quel che il pubblico crede di volere” perché magari non ha mezzi per volere altro, perché vede solo questo e perché – nel pieno concetto del “fast food” – è la cosa più facile da consumare, soprattutto perché asseconda i nostri istinti più beceri. Come la tv contribuì tantissimo all’acculturazione del Paese negli anni ’50, penso che parimenti possa e debba fare anche 70 anni dopo, nel XXI secolo, anche se è sicuramente meno centrale rispetto a prima.

Fossi nelle giornaliste e nei giornalisti che in questi giorni vogliono affrontare il tema donne e Berlusconi, insisterei fino allo sfinimento su quanto lui sia stato promotore e della visione della donna oggetto, della donna pu**ana, della donna sempre inferiore all’uomo e della donna che, se occupa posti di potere, è solo perché “l’ha data” a qualcuno (ovviamente a un uomo).

Insisterei su quanto le sue televisioni abbiano forgiato intere generazioni, convincendole di questa visione unilaterale ed escludente.

Certo, non ne è stato solo lui la causa e sarebbe troppo facile dargli tutte le colpe – sarebbe solo uno scaricarsi la coscienza, anche perché questa immagine della donna non è solo precipua dell’Italia – ma, mantenendo ovviamente rispetto per la morte di un essere umano, mi dedicherei con tutta me stessa prima a una profonda analisi e poi a una damnatio memoriae della sua televisione, della sua politica, delle sue battute, dell’immagine che ha voluto mostrare delle sue fidanzate.

Che se ne parli quindi ancora tantissimo di Berlusconi, che si analizzino anche i dettagli apparentemente insignificanti della sua figura, affinché con la consapevolezza e l’emancipazione, la sua dipartita possa essere davvero – come quotidiani e siti hanno titolato – la fine di un’epoca.

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