Nome dell'autore: Irene Tiberi

Irene Tiberi lavora da 13 anni presso Fondazione Musica per Roma, ente che gestisce l'Auditorium Parco della Musica di Roma, prima in area produzione e recentemente in promozione e vendita. Dal 2019 al 2021 è stata projects coordinator per shesaid.so Italy.  Nel luglio 2021 fonda, insieme ad altre 6 donne del settore, Equaly. Precedentemente ha scritto diverse recensioni e articoli, per diverse webzine, su danza e musica e ha vissuto qualche mese al Cairo, collaborando con l'ANSA, dove si è occupata di ingiustizie sociale come la mutilazione genitale femminile e la persecuzione della comunità LGBTQ+. Nata a Roma, cresciuta tra gli USA, Svizzera e Italia, ha conseguito una laurea magistrale in Teatro Musica e Danza e un master in Gender Equality and Diversity Management presso la Fondazione Giacomo Brodolini.

I numeri dei festival italiani 2023

I numeri dei festival italiani 2023 In queste ultime settimane abbiamo presentato in diverse città italiane il primo report relativo alla violenza di genere nel nostro settore, ricerca sviluppata e portata avanti insieme alla dott.ssa Rebecca Paraciani, in collaborazione con la dott.ssa Alessandra Micalizzi, basata su 153 risposte al nostro questionario in merito. Ma da quando abbiamo iniziato a promuovere questo tour, abbiamo raccolto moltissime altre risposte. (Il questionario è sempre aperto e anonimo e puoi compilarlo qui) Il report dipinge un quadro piuttosto chiaro rispetto a quanto le donne possano sentirsi libere di intraprendere e portare avanti una carriera in questo settore, visti i soprusi, le vessazioni, le molestie, gli insulti, le discriminazioni, le pressioni e persino le aggressioni fisiche a cui sono sottoposte mentre cantano, suonano, allestiscono palchi, viaggiano o stanno a una scrivania. Che questo abbia un impatto tangibile sulla presenza delle donne nella musica in Italia, è ormai innegabile, e i numeri, ovunque e comunque, lo dimostrano. Anche quest’anno abbiamo studiato le line up di alcuni festival della nostra penisola, in particolare, della stessa selezione dell’anno scorso, ad eccezione di due che non si sono più tenuti e altri 2 divenuti rassegne con serate a tema, per un totale quindi di 34 lineup e, come sospettavamo, non è cambiato granché. La percentuale delle artiste soliste scende dal 17,65% del 2022, al 15,60% nel 2023. Leggermente migliorate le band con almeno una donna, che salgono dal 4,9% al 9,36%…parliamo sempre di numeri bassissimi: in questo campione, infatti, ci sono ben 9 festival che contano un totale di 0 artiste soliste, e altri 6 soltanto una. Aggiungiamo, visto che è stato annunciato in pompa magna al tg nazionale in prima serata, l’evento televisivo che fa delle co-conduttrici il proprio “scudo della parità”: il Festival di Sanremo. Con grande sorpresa di nessuno, su 27 concorrenti, ci sono solo 9 artiste, contando anche Angela Brambati, voce dei Ricchi e Poveri. Ogni volta che parliamo di presenza, o meglio assenza, di donne sui palchi, sentiamo sempre le stesse giustificazioni: Eh, ma le donne non portano pubblico Sono le agenzie di booking che non le propongono Sono i discografici che non ci investono Quali artiste? Non ci sono, ne ho chiamate 2 e avevano altre date Le donne non si propongono, sono insicure E via discorrendo. Insomma, è sempre responsabilità di qualcun altro, financo dell’intero genere femminile che sembrerebbe essere afflitto da un’atavica epidemia del famigerato malessere denominato “Insicurezza”. Non è questo il luogo opportuno per discutere su come tale “patologia” sia sì diffusa, ma di certo non innata (fatevi un giro nei centri d’infanzia e ditemi se la quasi totalità delle treenni o quattrenni vi sembra insicura, vi aspetto, sto qua), quanto piuttosto indotta da una dinamica patriarcale, comunemente nota come sindrome dell’impostora. Per tentare di approfondire il dibattito vi rimando al nostro blog, in particolare agli articoli scritti da Francesca Barone. Oggi possiamo provare, grazie al nostro report, e testimonianze raccolte, anche dal vivo, della nostra community, che l’Insicurezza sia l’ostacolo minore alla carriera di una donna nel mondo della musica.  Tutto il materiale che abbiamo raccolto ci mette di fronte alla precisa volontà di contrastare il successo delle artiste nel nostro settore o quanto meno di quelle che non si piegano alle leggi del mercato capitalista e maschilista. In ogni caso il risultato è un’esclusione scientifica da ogni aspetto della filiera creativa. Lo abbiamo appena visto, a fine novembre, alla prima edizione dei SIAE awards, una celebrazione dei migliori autori ed editori, dove, su 12 categorie (39 firme), appare una sola autrice, Victoria De Angelis, insieme agli altri 3 componenti dei Maneskin, per il loro I Wanna Be Your Slave. La serata, per giunta, è stata presentata da tre conduttori speciali: Alessandro Cattelan, Claudio Baglioni e Salvatori Nastasi, con l’accompagnamento degli Street Clerks, gruppo di soli uomini, che spesso fa il paio con Cattelan. Insomma, questa volta, nemmeno il (seppur triste) tentativo di salvare la faccia con una moderatrice o con una co-conduttrice come va di moda dire in questo periodo dell’anno. Ma lo riscontriamo anche nelle classifiche, che siano FIMI, Billboard o il recente Spotify Wrapped. Quest’ultimo dettaglia le preferenze di ascolto del pubblico, mondiale e nazionale, dove, tra le altre cose, si delinea perfettamente la ricaduta che ha una kermesse come Sanremo sulle scelte del pubblico, nelle prime posizioni infatti ne arrivano diverse. Tra le canzoni più ascoltate dell’anno, nello specifico nella top ten, compare una sola artista, ANNA, che è anche l’unica italiana nella top 20 degli artisti più ascoltati dell’anno. Naturalmente si può intersecare il discorso anche con il genere musicale ma alla fine non sposta molto. Chiudiamo questo 2023 senza grandi conquiste in fatti numerici ma speriamo che, con il nostro lavoro, si stia creando maggior consapevolezza nel settore e che questo faccia partire una reazione, una scintilla, un’intenzione nel voler condividere il potere, il successo, le opportunità.  Segnate queste tre paroline, è di questo che parliamo. Ed è un paradigma che ci auguriamo veda un miglioramento nel 2024. I primi annunci sono già usciti e noi continueremo a contare. *facciamo divulgazione e ci fa piacere veder girare i nostri dati e le nostre riflessioni. Ma così come facciamo noi col lavoro di altre persone, se riportate i nostri approfondimenti nei vostri articoli/post vi chiediamo gentilmente di citarci. Facebook Instagram Linkedin Irene TiberiIrene Tiberi lavora da 13 anni presso Fondazione Musica per Roma, ente che gestisce l’Auditorium Parco della Musica di Roma, prima in area produzione e recentemente in promozione e vendita. Dal 2019 al 2021 è stata projects coordinator per shesaid.so Italy.  Nel luglio 2021 fonda, insieme ad altre 6 donne del settore, Equaly. Precedentemente ha scritto diverse recensioni e articoli, per diverse webzine, su danza e musica e ha vissuto qualche mese al Cairo, collaborando con l’ANSA, dove si è occupata di ingiustizie sociale come la mutilazione genitale femminile e la persecuzione della comunità LGBTQ+. Nata a Roma, cresciuta tra gli USA, Svizzera e Italia, ha conseguito una laurea magistrale in

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Di Rihanna, di Levante, di esterofilia e di madri dee o fallite

All’indomani della kermesse nostrana, veniamo subito riportati alla realtà del nostro adorabile provincialismo dall’esibizione di Rihanna durante l’halftime show del SuperBowl, nello State Farm Stadium di Glendale, Arizona, U.S.A., ué. Ma che è l’halftime? Niente, praticamente gli americani, dagli anni Sessanta circa, durante l’intervallo della finale del campionato di football, anziché andare a fare pipì, fanno tutta una festa nella festa, con inno nazionale cantato da gente famosa, le marching band delle scuole superiori e dei college. Agli inizi così, tra il sobrio e…vabbè, l’americano. A partire dagli anni ’90 poi, l’interludio musicale durante l’halftime (il nostro fine primo tempo per intenderci) del Super Bowl (cioè la finale) della National Football League (NFL), grazie all’avvento di importanti sponsor e di importanti producer, inizia conseguentemente a diventare un evento in sé, per l’appunto, importante. Infatti, l’esibizione allo stadio si trasforma definitivamente nel consacramento di artisti e artiste che ne sono headliner e che lo considerano uno dei momenti più alti della loro carriera, che li storicizza di fatto. Un esempio su tutti, il tributo a Dr. Dre, con lo stesso Dr. Dre, dell’anno scorso. Abbiamo già detto: storia. Anche se c’è da dire che succede pure l’esatto opposto, come accaduto nel 2004, quando sul finale del loro duetto, Justin Timberlake scopre un seno di Janet Jackson segnando, sì una pietra miliare, ma del declino della carriera, stranamente, di Janet, non di Justin. Ma questa è un’altra storia…anche se forse non proprio, ora vediamo. È stato anche palcoscenico di forti messaggi politici, come quello di JLo e Shakira che due anni fa hanno protestato contro il governo Trump, proponendo una scenografia che includeva bambine e bambini in gabbia, come stava facendo realmente l’amministrazione al confine con il Messico. Un altro esempio è stato il rifiuto, proprio di Rihanna, a esibirsi nel 2019, in protesta con la NFL che nel 2017, sotto pressione della presidenza Trump, aveva cacciato il giocatore e attivista Colin Kaepernick perché continuava a inginocchiarsi durante l’inno nazionale, a sua volta in protesta per la brutalità della polizia statunitense. Ma torniamo nel 2023. Dunque. Una produzione della madonna (metafora non casuale), con pannelli trasparenti che volano, scendono, salgono fino ai fuochi di artificio, con sopra e sotto un esercito di ballerini di bianco vestiti (sorry Mr. Rain, a lei l’effetto corale è riuscito meglio) che ballano all’unisono circondando lei, l’inarrivabile in tuta rossa, che viene subito inquadrata in primo piano svelando il suo sguardo tra il birichino, l’omicida e lo strafottente. Siamo già in adorazione. Girl power. God is a woman. Parte la musica, canta, balla, la telecamera segue la mano di Rihanna che scende sul ventre e, colpo di scena, RiRi ha un’altra pagnotta nel forno…dopo aver partorito a maggio. Maggio 2022. First reaction, sì ho capito lo shock, ma soprattutto uno “spem” di manrovescio per noi normodotate che avremmo subito approfittato della tavola “surfa nei cieli” per schiacciare un pisolino, letteralmente tra le braccia di Morfeo, lontane dalla nostra prole messa al mondo poco prima. Che dire, come se non fosse già un evento mondiale e di incredibile rilievo, mettiamo altra carne al fuoco. Rihanna è subito acclamata ovunque come la queen, la self made woman, che manco la neomaternità o la gravidanza in corso possono fermare. Addirittura a un certo punto, un ballerino le passa una cipria e lei si ritocca al volo il trucco, ma non è UNA cipria, è la SUA cipria. Certo, perché non è che in 7 anni via dal palco si sia annoiata, ha anche creato una linea di cosmetici e siccome l’halftime è suo e di nessun altro, decide lei, si pubblicizza tutto quello che vuole, alla grandissima. Una donna padrona al comando. Viemme a di’ qualcosa. This girl is on fire e via discorrendo. Abbiamo detto che la gravidanza è stata una sorpresa, non era annunciata, nemmeno nelle interviste a ridosso dell’evento. Viene da chiedersi perché. Davvero aveva pensato che sarebbe stato l’annuncio migliore che potesse fare? …o è stata cauta? Se non se la fosse più sentita di esibirsi? Se la ginecologa le avesse detto il giorno prima “Riha’, no.”, come sarebbe andata? Sicuramente RiRi è realmente strafottente dell’opinione altrui esattamente come sembra, ma per un attimo facciamo finta che non sia così. Anzi, fingiamoci la madre, la manager, la responsabile di comunicazione, chiunque del suo entourage che abbia tutto l’interesse a proteggere lei, la sua immagine e la sua reputazione (e la sua commerciabilità, ché il mondo va così, diciamocelo). Se avesse annunciato la nuova gravidanza e avesse poi cambiato idea rispetto all’halftime, cosa avrebbero scritto di lei? Queen? Badass? Brava? Non so. Gli Stati Uniti sono famosi per aver prodotto grandi storie di eroi ed eroine che servono da esempio, che devono guidare una certa mentalità del “we are the champions”, di riuscire, se in solitudine anche meglio, una forza ostentata, senza mai mostrare eventuali lati oscuri e taciuti (penso all’incubo vissuto dalle ginnaste americane e poi dalle ginnaste italiane…perché nemmeno quella è un’altra storia). Parliamo inoltre di una donna nera, dea, regina, survivor che tutto può e tutto sopporta, senza lamentarsi, che non si piega mai, soprattutto davanti agli oppressori, perché più è forte e più è d’esempio. Più è guerriera, insomma, come lo stereotipo a cui stiamo pensando. L’avrebbero accettato un ripensamento del genere, in un paese in cui la maternità non gode di alcuna considerazione e che se non lavori per un’azienda che integri i tuoi diritti, devi prenderti le ferie per andare a partorire e vincere alla lotteria per accedere a strutture quali nidi, asili ecc.? Già vi sento “ma quella è miliardariaaaa”. Ma va? Il fatto è che le opportunità non passano solo dalle tasche. Le condizioni per potersi godere i propri tempi per diventare genitore e gestirsi secondo il proprio libero arbitrio non sono solo economiche ma anche e soprattutto culturali e sociali. Mentre applaudiamo quella gran figa di Rihanna, teniamo a mente che, sebbene in cuor nostro la vogliamo pensare libera e spensierata, c’è una possibilità che queste pressioni

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