Travolta da un profondo disagio nell'azzurro mare d’agosto

Lo ammetto, sono rimasta immobile, ammutolita, attonita, sconcertata.
Agosto 2023 è stato come stare legata al vagone di una montagna russa di un perverso parco giochi per femmine (ancor più per femministe).
Poche gioie e molti dolori: una raffica di ganci sinistro-destro ben assestati allo stomaco, la forte nausea, qualche leccata di gelato per trovare sollievo.
Da una parte le odiose sentenze scatena-rabbia, i femminicidi e le notizie di violenze purtroppo tutt’altro che inaudite, la morte aspettata ma inaspettabile di un faro politico e culturale come Michela Murgia, e molti altri futili fastidiosi episodi; dall’altra il film di Barbie, le reazioni che ti inorgogliscono del mondo degli attivismi e il timido aumento (ma sempre l’aumento) di sussulti (a volte spasmi) di consapevolezza da parte di maschi sparsi.

Agosto pace mia non ti conosco: un downburst di trigger condito con olio evo, sabbia e sudore.

Tutto questo mi ha annichilita, mi sono sentita impotente, mi sono tenuta distante.
Sia per non rovinarmi completamente le vacanze, sia per non farmi annientare, sia per prendere il tempo e lo spazio che mi serve per elaborare una nebulosa così soffocante di avvenimenti.

Fatta eccezione per una storia su Michela Murgia, non ho pubblicato niente, non ho commentato niente, ho letto il minimo indispensabile che la mia coscienza mi richiede, e ho aspettato.
Ho aspettato che la vista di quel grumo purulento di emozioni si facesse meno sfuocata; che il miasma di quell’ammasso di rifiuti marci rimasti sotto il sole colante d’agosto si facesse meno acre.
Non sono un’attivista d’assalto. Le cose ho bisogno di vederle bene, di capirle, di leggerle, di ripensarci, di ricredermi, di rileggerle, di ripensarci, di ricredermi, di ripensarci.

Sentivo il bisogno di esprimere qualcosa ma non riuscivo a trovare una forma consona all’intimità delle mie sensazioni. Una storia? Ma su cosa? Molte storie? Su tutto? Un post? Solo uno? No.
Ho lasciato perdere, ho aspettato che sul fondo del becker si depositasse il precipitato più pesante per poterlo guardare bene, questa volta avvicinandomi.
Ho osservato, ho visto, ho pensato, mi sono ascoltata.

Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che è stato detto e scritto a riguardo, da da Giulia Blasi, a Carlotta Vagnoli, Carolina Capria, Azzurra Rinaldi, Maura Gancitano, Lorenzo Gasparrini, Jennifer Guerra (solo per fare qualche citazione), dopo tutto quello che ho letto, una sensazione mi è rimasta.

In mezzo alla melma fangosa sdraiata a terra, qualcosa luccica.
Ho sentito chiaramente pronunciare le parole “giuste”, usate nel contesto “giusto” per descrivere esattamente quei concetti: patriarcato, cultura dello stupro, femminismi, maschilismo, sessismo.
Questa volta non da personalità del mondo dell’attivismo, ma da quello del giornalismo, dalla TV generalista, diamine, da Barbie e Ken!
La sensazione è quella di quando sei all’estero e con la coda dell’orecchio senti qualcuno parlare la tua lingua; il sollievo è immediato, insieme alla speranza (l’illusione) di sentirsi parte di qualcosa.
Un luccichio.
Sarà una pagliuzza d’oro sul letto del fiume; sarà il riflesso di una lama pronta alla battaglia; sarà qualche lacrima nuova, mai versata, illuminata dalla luce di uno smartphone. Ma qualcosa c’è.
E luccica.

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