Nome dell'autore: Francesca Barone

Francesca Barone è un’esperta di diritti musicali, di sincronizzazioni e di music business in generale. Professionista dell’industria musicale e della gestione di diritti in ottica business, è attualmente Music Supervisor indipendente per sincronizzazioni di ogni tipo (pubblicitarie, cinematografiche, televisive etc). Precedentemente Content Rights Manager, attuale consulente musicale per Dolce&Gabbana, con più di 16 anni di esperienza nel music business italiano, ha lavorato come Licensing Manager per Universal Music Publishing, come Sync Manager di Extreme Music e A&R per Sony Music Publishing, e come Consulente Musicale per Emi Music Publishing per i cataloghi di production music. È Consulente, docente per diversi corsi in scuole di formazione, scuole di musica e università italiane. Attivista femminista, è co-fondatrice di Equaly.it, la prima realtà ad occuparsi di parità di genere all’interno dell’industria musicale italiana. Con il nome di Franca Barone, ha pubblicato due album in qualità di cantautrice, compositrice e produttrice.

A Sanremo come al solito si canta. Noi, come al solito, si conta

A Sanremo come al solito si canta. Noi, come al solito, si conta SPOILER, questo articolo sarà pieno di dati. So che non sono la cosa più sexy che esista, ma se arrivate a leggere fino in fondo vi “svelo” anche perché non si parlerà di tutte le polemiche che stanno girando in questi giorni in merito ai “soliti autori”, i “soliti editori”, “è tutto pilotato”, eccetera, eccetera, eccetera. Veniamo a noi. Prima di addentrarci nell’analisi autori/autrici compositori/compositrici dei brani in gara al 75° Festival di Sanremo (2025), partiamo subito con un grafico aggiornato, quello della presenza di artiste nella classifica FIMI 2024 degli album più venduti. Siamo partite da una nostra vecchia ricerca che prende in considerazione gli anni dal 2012 al 2022, abbiamo aggiunto i dati del 2023, quelli del 2024, e voilà.  Dopo una timida ripresa nel 2023, con le artiste che arrivano a rappresentare il 13% della totalità, segnando un incremento del 3% rispetto al 2022, nel 2024 torniamo a scendere di un punto percentuale arrivando al 12%.  Abbiamo già proposto un’analisi sui motivi per cui la situazione è quella che vediamo nel grafico, da quelli più strutturali (leggi alla voce “patriarcato”), a quelli più contingenti.  Ne aggiungiamo però un altro, fondamentale, ovvero l’arrivo, l’ascesa e la consacrazione della musica TRAP come genere mainstream (o almeno di alcune sue caratteristiche), il cui avvento in Italia a livello temporale coincide con l’inizio della riduzione delle artiste in classifica FIMI, da quando abbiamo cominciato a contare. I motivi sono vari, e anche ultimamente non mancano le discussioni più o meno sensate sulla misoginia di molti testi di artisti trap (leggi alla voce Tony Effe escluso dal concerto di Capodanno della capitale). Posto che parlare di censura nell’arte, e quindi nella musica, credo sia sbagliato per principio, di sicuro un ambiente così escludente tirato su da un genere musicale che si basa di fatto su mascolinità tossica, testi sessisti, misogini, omofobi, potenzialmente offensivi, che descrivono le donne come delle “cose” nella migliore delle ipotesi, di certo non invoglia le cosiddette donne ad entrarci, o almeno la maggior parte di loro (comprensibilmente). Della serie, va bene la musica, ma non tutte sono né paladine della giustizia, né kamikaze, tantomeno hanno voglia di essere, tanto per cambiare, l’elefante rosa nella stanza, o l’amica infiltrata nella chat del calcetto. Insomma, non tutte hanno voglia di fare il quadruplo della fatica dei loro colleghi, solo per riuscire ad entrare nello stesso studio di registrazione e alla fine rischiare di sentirsi comunque escluse dal “gruppo”. Tornando al grafico sulla percentuale di presenza di artiste nella classifica FIMI degli album più venduti dal 2012 al 2024, non abbiamo niente di particolarmente nuovo o incoraggiante da segnalare (ribadiamo che le artiste occupano 12 posizioni su 100), fatto salvo per un paio di riflessioni. Cominciamo con l’elenco delle artiste in classifica: #3 ANNA con l’album “Vera Baddie”#9 ANNALISA con l’album “E Poi Siamo Finiti Nel Vortice”#11 ROSE VILLAIN con l’album “Radio Sakura”#16 TAYLOR SWIFT con l’album “The Tortured Poets Department”#23 BILLIE EILISH con l’album “Hit Me Hard And Soft”#27 EMMA con l’album “Souvenir (Extended Edition)”#34 ANGELINA MANGO con l’album “Pokè Melodrama”#59 CLARA con l’album “PRIMO”#85 ARIANA GRANDE con l’album “Eternal Sunshine”#87 DUA LIPA con l’album “Radical Optimism”#93 ROSE VILLAIN con l’album “Radio Gotham”#95 LOREDANA BERTE’ con l’album “Ribelle” Salta sicuramente all’occhio il 3° posto di ANNA, perché era dal 2018 che un’artista non si posizionava così in alto (nel 2018 il posto più alto per le donne, sempre il 3°, era stato conquistato da LAURA PAUSINI con l’album “Fatti Sentire”); d’altra parte ANNA è stata incoronata anche Woman of the Year ai Billboard Women In Music di settembre 2024, e la sua carriera sembra molto promettente. Per trovare un’artista posizionata “ancora più in alto”, dobbiamo tornare al 2016, con MINACELENTANO (non solo Mina, per intenderci), stabilmente al 1° posto della classifica degli album più venduti. Sono passati 9 anni da allora. Un altro aspetto che salta all’occhio, piuttosto invariato a dir la verità rispetto a tutti gli anni presi in considerazione dal 2012, è che le artiste italiane che riescono ad entrare in questa classifica sono sempre molto grandi, veterane e/o molto conosciute.  Parliamo per l’appunto di ANNALISA, EMMA, LOREDANA BERTÈ..  La cosa si fa ancora più evidente (anche se è più fisiologico) per le artiste internazionali; nella classifica italiana c’è posto solo per le Vere Star, gente del calibro di Taylor Swift, Dua Lipa, Ariana Grande; non esattamente artiste underground. Anche tra le italiane dicevamo, non c’è quasi mai posto per le emergenti o quelle non ancora consacrate, a meno che queste non siano passate da Sanremo, vedi ROSE VILLAIN, ANGELINA MANGO e CLARA (o MADAME nel 2021 che entra al n.5, LRDL nel 2022 al n. 96). Questo non succede per i colleghi artisti. Nella classifica 2024, le 88 posizioni occupate da uomini vedono intuitivamente sia act molto famosi, storici o conosciutissimi per il pubblico medio, sia artisti sconosciuti al pubblico mainstream.. Il FESTIVAL DI SANREMO è quindi importantissimo per le partecipanti, un vero e proprio trampolino di lancio, forse l’unico che garantisca veramente una forte spinta, anche se solo per qualche mese. E allora contiamole queste artiste che saranno presenti sul palco dell’Ariston nel 2025. Questa volta però, andremo più nel dettaglio, analizzando non solo i numeri delle interpreti, ma andando a scomodare pure le autrici e le compositrici che hanno scritto alcuni dei pezzi in gara. LE ARTISTE A SANREMO 2025: sono 13 e mezzo su 33 act*. Facendo un rapido calcolo, rappresentano il 40,9% (se Emis Killa non si fosse ritirato, sarebbero state il 39,7%). Non benissimo ma neanche malissimo. Eccole qui in ordine alfabetico: CLARACOMACOSE (che conta come 0,5)ELODIEFRANCESCA MICHIELINGAIA GIORGIAJOAN THIELEMARCELLA BELLAMARIA TOMBA (nuove proposte)NOEMIROSE VILLAINSARAH TOSCANOSERENA BRANCALEVALE LP e LIL JOLIE (nuove proposte) * rientrano in tutti i calcoli anche le nuove proposte Vediamo però la presenza di Artiste ed Artisti sul palco dell’Ariston, dal 2012 al 2025 Già che ci siamo, proviamo anche a comparare questi dati con

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SIAE MUSIC AWARDS 2024: UN’ANALISI DEI DATI – Vincitori e Vinte

SIAE MUSIC AWARDS 2024: UN’ANALISI DEI DATI – Vincitori e Vinte Ricordo di sabato 23 novembre 2024, MIlano. È cominciato il freddo, proprio in questa settimana che tra Linecheck e Milano Music Week ti tratta come la pallina di un flipper in un bar anni 60 della pianura padana, in balia di flash, rimbalzi e fredda condensa umidiccia. Mi ritrovo invitata ai Siae Music Awards 2024, seconda edizione di questa nuova serata a premi, il cui intento è quello di celebrare gli autori e gli editori italiani di maggior successo nel nostro Paese e all’estero, con nomination che si basano sulle rilevazioni dei consumi di musica certificati da SIAE e delle royalties distribuite e pagate nel 2024. Puri dati, emozione poca in effetti. Mi sento più imbucata che invitata, anche se l’invito è reale (nel senso di non richiesto) e io sono pure un’iscritta SIAE, una delle poche, considerando che le iscritte SIAE, Società Italiana Autori ed Editori, sono circa il 16% del totale.  Dico “circa” perché la SIAE non pubblica ancora dati certi in questo senso. Mi sono voluta sollazzare con una veloce ricerca online e Google, che pensa bene di eliminare il termine “donna” per trovarmi qualche risultato, ha un involontario senso dell’umorismo più amaro e tagliente di quanto desiderassi. Pure lui ce lo dice esplicitamente, se ci dovessero mai essere dubbi. Mancanti: donne. Il maschile plurale di “Autori ed Editori” che completa la parte del nome “SIAE – Società italiana degli” non è chiaramente usato in senso sovraesteso ma praticamente letterale.  Sento l’ardire di interrogare anche il bot del sito SIAE, a cui è stato dato il nome femminile per eccellenza, quello da cui sono poi derivati tutti i mali dell’uman… insomma, si chiama Eva. Anche Eva appare impreparata alla mia domanda e mi dice: Posto che l’assistenza virtuale che mi rimanda all’assistenza umana è un chiaro esempio di Paradosso del Gatto Imburrato, sappiamo che SIAE in realtà richiede di indicare il sesso a chi si iscrive (almeno tramite app), ma evidentemente non usa questo dato per pubblicare ricerche statistiche. Ricordiamo che la mancanza dell’indicazione del genere all’interno dei metadata dei file dei brani che circolano sulle piattaforme è un tema di cui si sta discutendo ultimamente, perchè di fatto impedisce eventuali operazioni virtuose da parte dei DSP che suggeriscono playlist algoritmiche. Nello specifico, segnaliamo il Music Gender Metadata Manifesto nato dal lavoro di Digital Fems, realtà internazionale che si batte proprio perché l’indicazione del genere di chi canta, suona, compone e produce entri a far parte dei metadati obbligatori. Ma torniamo agli Awards.  Tra un misto di senso del dovere e curiosità, scorro il programma della serata, le nomination e comincio a contare. Appaiono i primi nomi (illustri): Amadeus, M° Valeriano Chiaravalle, Carlo Cracco. Salvatore Nastasi.  Ok.  Concentrandomi su compositori e autori (non editori), scandaglio tutte le persone “nominate” in modalità pesca a strascico e mi concentro su un masochistico esercizio stile enigmistica alla “trova l’intrusa”. Prendo un bel respiro e: A vincere invece sono (ndr, trovate più volte gli stessi nomi ripetuti perché alcune persone hanno ricevuto più nomination) Per maggiore chiarezza utilizzerò l’azzeccatissima soluzione grafica usata da Lineup Without Males. Questo lo stesso elenco di persone nominate, cancellando artificialmente i nomi di autori e compositori: Questo quello dei vincitori, anche qui senza autori/compositori: La questione è letteralmente evidente. Le autrici/compositrici nominate e/o premiate sono pochissime. Niente di nuovo. È interessante anche notare che delle vincitrici, solo Gala è effettivamente un’autrice italiana; nessuna delle tre è iscritta in SIAE, ma rispettivamente in PRS (Gala), e BMI (Kamille e Bebe Rexha). RICAPITOLANDO Su 182 nomination abbiamo: 15 compositrici e autrici (8,2% del totale) 167 compositori e autori (91,8% del totale) Su 44 vincitori abbiamo: 3 compositrici e autrici, nessuna presente alla serata e quindi salita sul palco (6,8% del totale) 41 compositori e autori (93,2% del totale) Questa così bassa percentuale di autrici e compositrici sia nelle nomination che, come dicevamo, nel totale delle persone iscritte in SIAE, porta come conseguenza naturale non solo la loro poca visibilità al pubblico, ma anche la diversissima distribuzione di risorse economiche raccolte da SIAE. Chiariamo, non è responsabilità diretta di SIAE se i brani (e quindi gli autori) più remunerati sono uomini, ma anche SIAE ha bisogno di intraprendere azioni serie e a lungo termine in questo senso, per cercare di ridurre tutti gli squilibri endemici, diretti o indiretti a sfavore di autrici e compositrici. Questo atteggiamento di ignavia rispetto all’argomento da parte di chi davvero avrebbe il privilegio e il potere di cambiare le cose, è di fatto una posizione reazionaria di chi non si sente addosso la responsabilità di farlo. E non raccontiamoci più che gli uomini costituiscono la maggior parte di chi guadagna di più e di chi ha più successo perché sono più bravi (in base alle nomination di questi Award ad esempio, il 91,8%). Abbiamo già spiegato più volte, e per fortuna non solo noi, che non è per questo motivo che in quasi tutti i settori di business gli uomini ricoprono praticamente tutte le posizioni di potere. Il motivo è la cultura patriarcale in cui nasciamo e viviamo (sì, il patriarcato ancora esiste), e una serie infinita di privilegi destinati agli uomini e a loro soltanto.  Abbiamo bisogno di agire su questo tipo di cultura più velocemente di quanto non si stia facendo, anche dalla parte della musica. Per dare più potere economico alle donne che compongono e scrivono (e quindi renderle padrone della propria carriera e della propria arte, dare loro la possibilità, ad esempio, di difendere il proprio apporto creativo all’interno di un brano, chiamato anche “punti autorali”), si deve partire dal cambiare la concezione che si ha delle stesse.  È giusto considerarle delle partner creative, magari geniali, e non solo degli elementi di disturbo, di distrazione, di convenienza o di colore nello spogliatoio del calcetto in cui spesso si trasformano gli studi di registrazione. So bene che “alla creatività non si comanda”, non sto suggerendo di istituire quote di

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Travolta da un profondo disagio nell’azzurro mare d’agosto

Travolta da un profondo disagio nell’azzurro mare d’agosto Lo ammetto, sono rimasta immobile, ammutolita, attonita, sconcertata. Agosto 2023 è stato come stare legata al vagone di una montagna russa di un perverso parco giochi per femmine (ancor più per femministe). Poche gioie e molti dolori: una raffica di ganci sinistro-destro ben assestati allo stomaco, la forte nausea, qualche leccata di gelato per trovare sollievo. Da una parte le odiose sentenze scatena-rabbia, i femminicidi e le notizie di violenze purtroppo tutt’altro che inaudite, la morte aspettata ma inaspettabile di un faro politico e culturale come Michela Murgia, e molti altri futili fastidiosi episodi; dall’altra il film di Barbie, le reazioni che ti inorgogliscono del mondo degli attivismi e il timido aumento (ma sempre l’aumento) di sussulti (a volte spasmi) di consapevolezza da parte di maschi sparsi. Agosto pace mia non ti conosco: un downburst di trigger condito con olio evo, sabbia e sudore. Tutto questo mi ha annichilita, mi sono sentita impotente, mi sono tenuta distante. Sia per non rovinarmi completamente le vacanze, sia per non farmi annientare, sia per prendere il tempo e lo spazio che mi serve per elaborare una nebulosa così soffocante di avvenimenti. Fatta eccezione per una storia su Michela Murgia, non ho pubblicato niente, non ho commentato niente, ho letto il minimo indispensabile che la mia coscienza mi richiede, e ho aspettato. Ho aspettato che la vista di quel grumo purulento di emozioni si facesse meno sfuocata; che il miasma di quell’ammasso di rifiuti marci rimasti sotto il sole colante d’agosto si facesse meno acre. Non sono un’attivista d’assalto. Le cose ho bisogno di vederle bene, di capirle, di leggerle, di ripensarci, di ricredermi, di rileggerle, di ripensarci, di ricredermi, di ripensarci. Sentivo il bisogno di esprimere qualcosa ma non riuscivo a trovare una forma consona all’intimità delle mie sensazioni. Una storia? Ma su cosa? Molte storie? Su tutto? Un post? Solo uno? No. Ho lasciato perdere, ho aspettato che sul fondo del becker si depositasse il precipitato più pesante per poterlo guardare bene, questa volta avvicinandomi. Ho osservato, ho visto, ho pensato, mi sono ascoltata. Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che è stato detto e scritto a riguardo, da da Giulia Blasi, a Carlotta Vagnoli, Carolina Capria, Azzurra Rinaldi, Maura Gancitano, Lorenzo Gasparrini, Jennifer Guerra (solo per fare qualche citazione), dopo tutto quello che ho letto, una sensazione mi è rimasta. In mezzo alla melma fangosa sdraiata a terra, qualcosa luccica. Ho sentito chiaramente pronunciare le parole “giuste”, usate nel contesto “giusto” per descrivere esattamente quei concetti: patriarcato, cultura dello stupro, femminismi, maschilismo, sessismo. Questa volta non da personalità del mondo dell’attivismo, ma da quello del giornalismo, dalla TV generalista, diamine, da Barbie e Ken! La sensazione è quella di quando sei all’estero e con la coda dell’orecchio senti qualcuno parlare la tua lingua; il sollievo è immediato, insieme alla speranza (l’illusione) di sentirsi parte di qualcosa. Un luccichio. Sarà una pagliuzza d’oro sul letto del fiume; sarà il riflesso di una lama pronta alla battaglia; sarà qualche lacrima nuova, mai versata, illuminata dalla luce di uno smartphone. Ma qualcosa c’è. E luccica. #riflessioni #violenzadigenere #attualità #cronaca #attivismo #agosto2023 Francesca BaroneFrancesca Barone è un’esperta di diritti musicali, di sincronizzazioni e di music business in generale. Professionista dell’industria musicale e della gestione di diritti in ottica business, è attualmente Music Supervisor indipendente per sincronizzazioni di ogni tipo (pubblicitarie, cinematografiche, televisive etc). Precedentemente Content Rights Manager, attuale consulente musicale per Dolce&Gabbana, con più di 16 anni di esperienza nel music business italiano, ha lavorato come Licensing Manager per Universal Music Publishing, come Sync Manager di Extreme Music e A&R per Sony Music Publishing, e come Consulente Musicale per Emi Music Publishing per i cataloghi di production music. È Consulente, docente per diversi corsi in scuole di formazione, scuole di musica e università italiane. Attivista femminista, è co-fondatrice di Equaly.it, la prima realtà ad occuparsi di parità di genere all’interno dell’industria musicale italiana. Con il nome di Franca Barone, ha pubblicato due album in qualità di cantautrice, compositrice e produttrice.

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CLASSIFICA FIMI 2022 – Cultura italiana 3 – Parità di genere (quasi) 0

Se fosse una partita di calcio, il risultato sarebbe schiacciante: Cultura italiana 3 – Parità di genere (quasi) 0. Ma andiamo con ordine. Gennaio 2023, sono uscite da pochissimo le classifiche annuali di vendita FIMI per il 2022, sia album e compilation che singoli. Abbiamo analizzato la classifica degli album più venduti del 2022 sotto un’ottica di parità di genere, per vedere se la presenza in classifica delle artiste è diminuita, aumentata o se è rimasta invariata rispetto ai risultati che avevamo già riscontrato negli anni precedenti. Per fare le cose come si deve, oltre al 2022 abbiamo preso in esame i 10 anni dal 2012 al 2021. (Nota: non sono state oggetto di quest’analisi le posizioni ricoperte da compilation). Per il 2022 il numero che cercate è questo: 10%. Le artiste in classifica FIMI 2022 degli album più venduti rappresentano il 10% circa del totale, un valore che si commenta da solo. Ma qual è la tendenza generale? Stiamo andando meglio? Stiamo andando peggio? Cerchiamo di scoprirlo. IL PREGRESSO: 2012-2021 In un altro articolo abbiamo già citato queste percentuali:  nel 2018 la presenza di artiste in classifica era del 14% nel 2019 si assestava sempre sul 14% nel 2020 scendeva a 11,34% nel 2021 arrivava all’11,22% Questa volta abbiamo deciso di andare oltre e di spingerci con l’analisi dei dati fino al lontano 2012, un anno prima dell’arrivo di Spotify in Italia, per intenderci. Ecco cosa abbiamo trovato: La tendenza è chiara ed evidenzia la progressiva riduzione della percentuale di artiste presenti in classifica passando dal 27% del 2012 al 10% del 2022 con un salto verso il basso di 17 punti percentuale. Combinando questi dati con quelli relativi agli artisti vediamo bene le due tendenze opposte comparate.  Gli artisti rappresentavano il 73% del totale nel 2012 e sono arrivati a ricoprire l’89% delle posizioni nel 2022; un salto in avanti di circa 16 punti percentuale. Tutto torna. L’ANALISI DEI RISULTATI 2022 Come abbiamo visto, il 2022 non si discosta dal trend negativo degli anni precedenti: la presenza femminile in classifica non arresta la sua decrescita arrivando a toccare il 10%, se si prendono in considerazioni artiste italiane ed internazionali. Le artiste internazionali con le loro posizioni sono:  #55 Dua Lipa, #56 Taylor Swift, #59 Adele, #82 Olivia Rodrigo, #86 Rosalia Le sole artiste italiane rappresentano invece il 5,15%. L’elenco dei nomi è presto fatto: #33: ELISA con “Ritorno al futuro / Back to the future” (Island – Universal Music) #39: MADAME con “Madame” (Sugar Music) #45: ARIETE con “Specchio” (Bomba Dischi) #76: ANNA con “Lista 47” (Virgin – Universal) #96: LRDL con “My Mamma” (Woodworm / RCA NUMERO 1 – Sony Music) Al contrario dei 10 anni precedenti dove si potevano trovare presenze femminili dalla 1a alla 15esima posizione (alla peggio), nella classifica 2022 non troviamo nessun’artista nei primi 32 posti. Dobbiamo arrivare al n.33 per trovare Elisa che, al contrario delle classifiche degli ultimi 10 anni, è l’unica tra le italiane presenti ad avere una lunga carriera partita nel 1997 con 11 album alle spalle (rispetto agli anni passati le grandi assenti sono Alessandra Amoroso, Emma, Laura Pausini, Giorgia, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini, ad esempio). Procedendo con la 2022,  dopo Elisa alla n.33 si passa per Madame alla n.39, Ariete alla n.45, alla n.76 di Anna e, per finire, alla n.96 di LRDL; ma andiamo avanti. ARTISTE/I ITALIANE/I Parliamo ora di repertorio internazionale e italiano. Notiamo anche che se le artiste italiane rappresentano il 50% del totale delle presenze femminili, gli artisti italiani sono più dell’86% della totalità del loro genere. Questo è sicuramente un dato positivo preso nella sua interezza, perché vuol dire che il pubblico italiano apprezza sempre di più la produzione artistica locale e che, che sia come causa o come effetto, le etichette discografiche e gli editori italiani investono in questo tipo di proposte musicali e di repertorio in modo attivo. A quanto pare però, investono solo su artisti con la “i”, e questo non è un segreto. Anzi, analizzando l’andamento della percentuale di artisti/artiste italiani/e negli ultimi 11 anni di classifiche album FIMI, scopriamo questo: La tendenza è in aumento sia per le artiste che per gli artisti, ma con un delta tra i valori di partenza e quelli di arrivo molto diverso. Se la percentuale di artiste italiane rispetto al totale delle artiste parte con un 48% del 2012 per arrivare, con qualche oscillazione, ad un 50% del 2022 (segnando quindi un +2%) gli artisti italiani passano dall’essere il 36% nel 2012 a diventare la quasi totalità nel 2022 con l’86% di presenze segnando un interessantissimo +50% Cosa ci dice questo dato? Proviamo a fare delle ipotesi. IPOTESI 1: l’arrivo di Spotify Spotify sbarca in Italia nel 2013. Il fatto che la percentuale di artiste, italiane e non, stia scendendo da allora in modo lineare non può lasciare indifferenti, sia perchè i periodi sembrano coincidere, sia perchè la cosiddetta “quarta ondata femminista” ha avuto inizio indicativamente nel 2010 a cui è seguito nel 2017 il movimento #metoo (in italia #quellavoltache). Di fatto nel decennio in cui i movimenti a tutela della disparità di genere e dell’emancipazione femminile tornano letteralmente sotto i riflettori constatiamo che la presenza di artiste in classifica ha seguito una tendenza piuttosto controintuitiva. É possibile che il cambio della fruizione della musica dall’acquisto del supporto fisico alla subscription di servizi su piattaforme digitali abbia avuto una grande importanza nel creare un (nuovo) ostacolo all’accesso e allo sviluppo di carriere di musiciste, artiste, produttrici italiane?  IPOTESI 2: la pandemia Non è un segreto che gli effetti negativi della pandemia sono stati, tanto per cambiare, molto più a carico delle donne che degli uomini: lavoro (non retribuito) di cura aumentato esponenzialmente, lavori domestici moltiplicati e, cosa più importante, tanti posti di lavoro persi e mai recuperati con conseguente penalizzazione nelle nuove assunzioni. Sembra che questa tendenza abbia intaccato anche il settore musicale; riferendoci nuovamente al primo grafico “% Presenza Artiste 2012-2022” troviamo un riscontro di questo: c’è infatti un

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LA VOLONTÀ NON BASTA (riflessioni dal concerto di Alessandra Amoroso a San Siro) – PARTE 4

La terza parte di quest’analisi si concludeva con un’affermazione: La tua volontà non basta, La mia volontà non basta. Il motivo per cui non ci sono tante donne in classifica o sui palchi, non è il risultato della mancanza di volontà delle artiste del nostro tempo, non è il risultato della mancanza di volontà di musiciste in erba che pensano “naaaaa, non mi va proprio. Suonare la mia musica davanti a duemila persone che sono venute apposta a sentirla? Non mi interessa affatto, rimango comunque una donna!”. Scherzi a parte, pensate che si possa decidere di intraprendere una carriera artistica senza basi economiche? No non si può, non si può nel 2022 come non si poteva ai tempi di Mozart in cui il mecenatismo ha di fatto permesso lo sviluppo di carriere artistiche e la creazione di opere musicali che sono alla base della nostra cultura moderna, nonché il sostentamento economico dei suoi autori. Un altro tema importantissimo è il tempo. É importante ricordare che per fare musica e per costruirci sopra una carriera c’è bisogno di tempo; c’è bisogno di tempo per immaginare, creare, lavorare ad un pezzo magari per una settimana intera senza interruzioni. C’è bisogno di fondi, perché il lavoro creativo necessità di tempo per essere portato a termine, tempo che non ti viene retribuito nell’immediato (non è un segreto che molti artisti famosi abbiano potuto godere delle risorse di famiglia messe a loro disposizione). C’è bisogno di tempo per poter sbagliare, perchè “Isn’t She Lovely” e “Superstition” non sono venute fuori dal genio di Stevie Wonder buona la prima, come si dice; molto probabilmente per una “Sir Duke” ci sono altri 40 brani “sbagliati” (qualsiasi cosa voglia dire) o mai pubblicati, o mai diventati famosi. Ci vuole tempo (retribuito) per poter lavorare al proprio stile, per poterlo affinare, cambiare, per evolversi come artista e performer, per poter acquisire consapevolezza e fiducia nelle proprie capacità, per poter raccogliere quel che si è seminato, anche banalmente per poter inseguire locali e festival per elemosinare una data. Bisogna avere la libertà di non dover pensare ad altro, di non dover pensare a come ci si debba vestire, la libertà di non doversi preoccupare di avere delle perdite di sangue se fai un concerto e sei al secondo giorno di mestruazioni, a se si è belle/grasse/magre/brutte/alte/basse oppure no, a cosa si dice, a cosa penseranno gli altri di te, a se quella volta sei stata troppo disponibile, se hai riso troppo, se risulti “arrogante” se dici di essere una cantautrice, se è meglio coinvolgere qualche collega maschio per avere più credibilità etc. Insomma, bisogna avere un tipo di libertà speciale, una libertà fisica e mentale, la libertà che in questa società puoi conoscere solo se sei un uomo. E poi c’è l’ultimo tema: le donne sono percepite come un genere, anche musicale, gli uomini sono l’umanità. Frasi come “le donne fanno musica per donne” o ancora “le donne fanno musica oggettivamente più brutta di quella degli uomini” sono figlie dei peggiori e più radicati pregiudizi sullo sguardo femminile sul mondo. Quel pregiudizio che “tanto le donne parlano di cose da donne alle donne”, mentre gli uomini (non si sa perchè) non sono un genere, loro stessi non si percepiscono come un genere, non hanno uno sguardo parziale ma universale, gli uomini sono l’umanità stessa. Come puntualizzava la filosofa Simone De Beauvoir nel suo testo fondamentale “Il Secondo Sesso”, lo sguardo maschile sul mondo, che sia uno sguardo politico, letterario o musicale, è sempre stato considerato uno sguardo universale, che ha la pretesa di parlare di tutti e per tutti (anche qui il maschile sovraesteso non è usato a caso). C’è una logica alla base di questa evidentissima discriminazione in termini? No, non c’è, e parlo di logica, non di motivazioni. Mentre gli uomini hanno potuto fare della musica la loro professione fin dall’alba dei tempi, alle donne questa cosa è stata sempre sostanzialmente vietata. Ci sono poche donne in classifica dite voi? Sì, ci sono poche donne in classifica. Come accennato, a questo si aggiunge la serie i-n-e-n-a-r-r-a-b-i-l-e di pregiudizi rivolta proprio alle donne che vogliono fare della musica la propria professione. Se per secoli non era concepibile che una donna facesse la musicista, figuriamoci la compositrice, non possiamo stupirci che oggi, passati pochi decenni da “quei” secoli, la società e la nostra cultura ostacoli e sminuisca le donne che fanno musica e la musica che fanno. A questo, per farla breve, si aggiungono i pregiudizi e gli stereotipi di cui sopra, del tipo: alle donne non interessa esporsi  alle donne non interessa il successo le donne hanno voci fastidiose  le donne non sono portate per le materie intellettuali; fino a pochissimo (pochissimo) tempo fa le donne erano a tutti gli effetti considerati semplicemente esseri inferiori con precisissime funzioni di procreazione: mogli e madri (non dimenticherò mai i contenuti del vademecum “La sposa cristiana”, un libretto che il parroco del paese aveva consegnato a mia nonna materna poco dopo le nozze; quei diktat non lasciavano spazio all’immaginazione, disegnavano minuziosamente le mura perimetrali di quel carcere chiamato “genere femminile” che le donne dovevano impersonificare senza se e senza ma) le donne non sono portate per le materie scientifiche o per i computer (leggi alla voce: le donne producer sono pochissime) le donne devono essere belle (leggi alla voce se già fai fatica e sei pure “brutta” abbandona l’idea in principio che è meglio) Ecco un altro fatto interessante che fa capire bene il peso dei pregiudizi nella costruzione della società: prima dell’invenzione delle cosiddette “audizioni cieche”, ovvero l’introduzione di un paravento che celasse le sembianze (e quindi anche il sesso, l’etnia, l’eventuale disabilità, la bellezza, la bruttezza etc.) della persona che ambiva ad un posto di musicista in un’orchestra alla giuria esaminatrice, le donne in orchestra erano praticamente pari a zero. Siamo nel 1970 circa. Dopo l’introduzione di questo metodo cos’è successo? Riferendoci solo alla New York Philarmonic Orchestra, la percentuale di donne in organico è passata dallo 0% al

LA VOLONTÀ NON BASTA (riflessioni dal concerto di Alessandra Amoroso a San Siro) – PARTE 4 Leggi tutto »

DATI vs BIAS (riflessioni dal concerto di Alessandra Amoroso a San Siro) – PARTE 3

Nella seconda parte dell’articolo, dicevamo che per evitare di guardare il mondo attraverso le spessissime lenti del pregiudizio, una cosa ci può venire in aiuto: i dati. E allora vediamoli, questi dati. La premessa delle premesse è che il liquido viscoso in cui nasciamo ha un nome e si chiama sistema patriarcale o patriarcato. Il patriarcato è una cosa talmente complessa, talmente intrinseca nella nostra società, talmente sfaccettata e articolata che si manifesta in mille e ancora mille modi che non staremo qui a raccontare. Basti pensare che è alla base della nostra cultura tutta, del colore dei vestiti che compriamo, di come camminiamo, del taglio di capelli che abbiamo, del ruolo che ci diamo nella società, del posto che ci diamo nel mondo, di cosa pensiamo guardandoci allo specchio. Ci sono tantissimi ottimi libri disponibili frutto di ricerche di pensatrici e pensatori, cercateli, li troverete. Dati, dicevamo. Un aspetto importante da ricordare è che un dato non può essere interpretato singolarmente e neanche in modo univoco. I dati vanno incrociati. Mi spiego. Partiamo da due semplici spunti già citati nella prima parte di quest’analisi: le autrici iscritte ad una qualsiasi delle società di collecting (es. SIAE) in Europa sono il 16% del totale (fonte Keychange). nelle classifiche FIMI degli album più venduti del 2018, 2019, 2020 e 2021 le artiste rappresentano rispettivamente il 14%, 14% 11% e 11% all’interno delle prime 100 posizioni Ad una prima occhiata superficiale questi due dati potrebbero spingerci a pensare “ecco! allora lo vedi che avevo ragione? Alle donne la musica non interessa, non la sanno fare e comunque è a me che non piace la loro musica quindi problema risolto”. Sull’ultimo punto non discuto (non è vero, diciamo non lo farò qui) ma sui primi due c’è molto da dire, guardando appunto i dati. Per capire davvero le radici di un problema bisogna voltarsi indietro, perché la società in cui viviamo oggi è il frutto delle decisioni prese dalle società del passato. Parliamo dell’Italia. Dato 1 Fino a 47 anni fa, ovvero fino al 1975 quando è stato riformato il diritto di famiglia, alle donne veniva ancora chiesta l’ “autorizzazione maritale” per donare, alienare beni immobili, sottoporli a ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali. Quindi è solo dal 1975 che le donne possono di fatto disporre in autonomia dei propri beni. In caso di morte del marito, le mogli avevano solo il diritto di usufrutto su tutti i beni che venivano invece ereditati dai figli. Analisi Dato 1  Qui intravediamo il tipo di tessuto culturale in cui una donna era costretta a vivere: se le donne non potevano disporre dei propri beni, possiamo immaginare quanto fosse difficile decidere di intraprendere una carriera artistica in autonomia, sia a livello pratico ed economico, sia a livello di accettazione sociale di questa scelta che, anche nei pochissimi casi in cui poteva venir esplicitata senza timore di ripercussioni immediate, veniva chiaramente ed apertamente ostacolata. Succede ora, figuriamoci prima. Dato 2: il tasso di occupazione femminile in Italia a inizio 2022 è intorno al 51% Analisi Dato 2: circa una donna su due in Italia non ha un’occupazione retribuita (la definisco così perché come sappiamo il lavoro domestico e di cura della famiglia è sì un lavoro, ma non viene retribuito).  Non avere un’occupazione retribuita vuol dire non avere denaro proprio di cui poter disporre senza rendere conto a nessuno.  Questo dato, il 51% circa, è riferito al 2022. Le classifiche FIMI che abbiamo citato sopra si riferiscono agli ultimi 4 anni; pensiamo quindi a quale fosse la situazione di libertà di scelta, disponibilità economica e accettazione sociale per una donna che sentisse la spinta ad intraprendere una carriera artistica anche solo 70 anni fa, nei primi anni ‘50 del 900. Ora teniamo in testa questa sensazione e pensiamo a come fosse nei primi anni 50’ dell’ 800, o del 700. Ora pensiamo al gender gap (ovvero al fatto che ci sono molto meno donne rispetto agli uomini in tutti gli ambiti lavorativi) e al gender pay gap (le donne che ci sono guadagnano meno dei colleghi uomini a parità di ruolo e prestazione). Ecco. Dato 3: il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, la maggior parte da partner o ex partner Analisi Dato 3: il dato si commenta da solo anche se solo non è, le sue compagne di viaggio sono Miss violenza economica e Madame violenza psicologica. Insomma, ostacoli, ostacoli e ancora ostacoli alla libera espressione, fisici, emotivi, mentali.  E cos’è l’arte se non la libera espressione della visione del mondo di un essere umano? Cos’è l’arte se non l’espressione di un desiderio? E come si fa a desiderare? Soprattutto, come si fa a desiderare una cosa così lontana da quello che ci si aspetta dal genere a cui apparteniamo? È l’atto di desiderare che porta al cambiamento, e per desiderare non basta la singola volontà, altrimenti non si spiegherebbe come mai, nel 2022, ci siano tutte queste persone nel mondo che vanno dallo scontento, all’insoddisfatto, all’indigente, al furioso, al depresso, allo stato di assoluta miseria. Se bastasse la volontà non si spiegherebbe come mai tu (si proprio tu) continui a fare un lavoro che non ti piace, precario, sottopagato. Se bastasse la volontà non si spiegherebbe come mai tu (sì proprio tu) sei single quando non lo vorresti essere, o come mai rimani da anni in una relazione disfunzionale e tossica che ti ha tolto ogni volontà (appunto) anche solo di pensare di meritarti qualcosa di meglio. La tua volontà non basta. La mia volontà non basta. Mi fermo qui, perchè anche se i dati proposti sono pochi e poco approfonditi, danno uno spunto per capire che la frase iniziale “alle donne non interessa la musica” non può essere liquidata come vera così com’è. Quanto ti può “interessare” una cosa che il mondo in cui vivi ti comunica molto chiaramente che non riguarda affatto te?  Quanto devi

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OPINIONI & BIAS (riflessioni dal concerto di Alessandra Amoroso a San Siro) – PARTE 2

Nella prima parte dell’articolo vi abbiamo lasciato con la domanda delle domande:  perchè? Perché in 40 anni di concerti, a San Siro ci hanno suonato solo due artiste italiane, Laura Pausini (2007) e Alessandra Amoroso (2022)?  Quando si parla di artiste sui palchi o in classifica (o meglio della loro assenza) si leggono o si sentono spessissimo frasi come “alle donne non interessa la musica” o “le donne fanno musica per donne” o ancora “le donne fanno musica oggettivamente più brutta di quella degli uomini”, tutto per giustificare lo stato di fatto che conosciamo. Su questi temi le opinioni si sprecano, e non c’è niente di più pericoloso che costruire un’idea basandosi sul proprio sentiment, magari un sentiment maschile singolare che, nonostante le credenze, è quanto di più distante ci possa essere da una visione super partes (anzi, senza consapevolezza rappresenta uno degli sguardi più parziali esistenti su questi temi). É facilissimo ritenere spontanea la propria percezione su un qualsiasi argomento e pensare che corrisponda a tutto quello che c’è da sapere sul tema stesso, modellando e plasmando tutti gli elementi attorno a quell’unica sensazione, cioè selezionando tanto accuratamente quanto (a volte) inconsciamente solo le evidenze che ben si sposano con la nostra idea iniziale, quindi ignorando tutte le altre.  In altre parole tendiamo ad adattare i risultati alla tesi che ci sembra più “sensata” (leggi più “vicina a noi”), che ci dia una sensazione di sicurezza, che ci faccia credere di non essere completamente disarmati rispetto ad un dato argomento che non conosciamo.  Ecco, questo è talvolta accompagnato dal cosiddetto effetto Dunning-Kruger, che porta al contrario esatto di uno dei fondamenti del progresso umano e tecnologico, ovvero il metodo scientifico. Se decidiamo di affidarci solo alle nostre “sensazioni”, contribuiremo a creare una cosa ben precisa: alimentare il  pregiudizio (o bias), che può essere veramente molto radicato all’interno del processo che adottiamo per formarci un’opinione. Quindi, frasi come “alle donne non interessa la musica”, “le donne fanno musica per donne” o ancora “le donne fanno musica più brutta di quella degli uomini” sono il frutto di vari stereotipi legati alle donne la cui figura galleggia in un mare di pregiudizi che perpetuiamo e rafforziamo ogni giorno da secoli, a volte a nostra insaputa.  E dico “nostra” anche se a scrivere è una donna, perché tutti e tutte nasciamo immersi in questa cultura, zuppi di un fluido patriarcale che ci avvolge da dentro e da fuori e che spesso, se non ci siamo mai interrogati su chi siamo veramente, è l’unica realtà che conosciamo (il film Matrix ci da una bella immagine a riguardo).  È il nostro sistema operativo di base, e per riuscire a fare qualcosa di diverso non basta installare nuove app, sostituire la batteria e piallare la ram, bisogna proprio disinstallare tutto e programmare un software ad hoc, fatto apposta per noi, che risponda esattamente alle nostre caratteristiche e che, tanto per rendere le cose ancora un pochino più difficili, si aggiorni in base ai nostri inevitabili cambiamenti. Questa cosa si può fare solo in un modo, ovvero basando il nuovo impianto sulla consapevolezza di noi stesse/i, chiedendoci chi siamo, facendoci delle domande e dandoci delle risposte vere, superando anche i pregiudizi verso di noi, appellandoci alla nostra più stoica onestà intellettuale. Continuando con la metafora tecnologica, programmare un software ad hoc su di noi è certamente più dispendioso sia in termini di tempo che di risorse impiegate, ma il risultato non avrà paragone in termini di soddisfazione ed usabilità rispetto ad una soluzione standard e preconfezionata che ci riempie di limiti operativi e ci impedisce anche solo di immaginarli, i cambiamenti. Se vediamo tutto come un caso singolo che “è successo alla mia amica x ma a me MAI”, sussurrando frasi come “è sempre stato così” o “è nella natura delle cose”, basandoci solo sulle nostre esperienze dirette da interazione sociale che, per le persone più fortunate, prevedono scambi relazionali di discreta intensità con un massimo di 10-12 individui in tutto, stiamo percorrendo a grandi falcate la strada verso il pregiudizio più cieco (e bieco). Per evitare questo, una cosa ci viene in aiuto: i dati. Dobbiamo trovarli, analizzarli, e se non li abbiamo già a disposizione dobbiamo ricercarli per riuscire a capire, ad esempio, come mai si parla tanto di sessismo, stereotipi di genere e femminismo, mentre noi questo problema magari neanche lo percepiamo. Articolo scritto da Francesca Barone [continua nella parte 3] Francesca BaroneFrancesca Barone è un’esperta di diritti musicali, di sincronizzazioni e di music business in generale. Professionista dell’industria musicale e della gestione di diritti in ottica business, è attualmente Music Supervisor indipendente per sincronizzazioni di ogni tipo (pubblicitarie, cinematografiche, televisive etc). Precedentemente Content Rights Manager, attuale consulente musicale per Dolce&Gabbana, con più di 16 anni di esperienza nel music business italiano, ha lavorato come Licensing Manager per Universal Music Publishing, come Sync Manager di Extreme Music e A&R per Sony Music Publishing, e come Consulente Musicale per Emi Music Publishing per i cataloghi di production music. È Consulente, docente per diversi corsi in scuole di formazione, scuole di musica e università italiane. Attivista femminista, è co-fondatrice di Equaly.it, la prima realtà ad occuparsi di parità di genere all’interno dell’industria musicale italiana. Con il nome di Franca Barone, ha pubblicato due album in qualità di cantautrice, compositrice e produttrice.

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Sono stata a San Siro al concerto di Alessandra Amoroso, la 2° donna nella storia della musica italiana a calcare questo palco – PARTE 1

Sono stata a San Siro al concerto di Alessandra Amoroso, la 2° donna nella storia della musica italiana a calcare questo palco – PARTE 1 – Avevo preparato questo articolo il giorno prima del concerto, anche se non si trattava di una recensione volevo aspettare di completarlo dopo aver assistito all’esibizione di un’artista che non avevo mai ascoltato dal vivo.  Dopo aver visto Alessandra Amoroso in azione a San Siro non posso che iniziare questo pezzo sottolineando quanto sia stato tutto meraviglioso: una pop-star vera, uno spettacolo degno di questo nome durato più di due ore in uno stadio in visibilio gremito delle persone più diverse che cantavano all’unisono, come la vecchia guardia di un coro intonatissimo, tutti i brani di una delle migliori interpreti italiane dei nostri tempi. Punto. E a me piace il jazz, per intenderci. Concerto n.200 per Amoroso, dopo 14 anni di successi continui, 7 album in studio, 2 dal vivo, 49 dischi di platino, 8 dischi d’oro e oltre 2 milioni e 700 mila copie vendute.  Una carriera invidiabile insomma, la carriera della seconda donna nella storia della musica italiana a calcare lo storico palco di San Siro. Ma andiamo con ordine. Siamo nel 1980, è il 27 giugno e Bob Marley è il primo protagonista del palco del “Giuseppe Meazza’’, lo stadio di Milano. Il suo è il primo concerto in assoluto che si tiene a San Siro. Da quel giorno sono passati più di 42 anni e 130 concerti (circa), da Bruce Springsteen a Edoardo Bennato (il primo artista italiano), dai Duran Duran agli One Direction, con Vasco, Ligabue e Springsteen nella top 3 della classifica virtuale del più alto numero di presenze all’interno di una sola venue. E qui cominciamo a fare una delle cose che ci piace tanto fare per tentare di avere uno sguardo il più possibile “oggettivo” su un dato argomento, ovvero contare (per citare Myss Keta, ma anche Michela Murgia). Quei circa 130 concerti sono stati interpretati da 51 artisti in totale tra cantanti e band, di cui 30 italiani e 21 stranieri. Il maschile sovraesteso della parola “artisti” in questo caso non è usato accidentalmente, perché di questi 51 artisti le donne con uno show a proprio nome sono 5:  – Laura Pausini (2007, la prima donna in assoluto, 2016, 2019 con Biagio Antonacci) – Madonna (2009 e 2012) – Rihanna (2016) – Beyoncé (2016 e 2018 con Jay-z)  – Alessandra Amoroso (2022) Nonostante i dati discordanti, facendo un rapido calcolo la percentuale delle artiste che hanno suonato a San Siro sembra essere intorno al 9% circa. Il 9%. Un numero che fa impressione ma che non si discosta dagli altri numeri che danno una fotografia del peso (piuma) delle donne all’interno del mercato musicale italiano di cui riportiamo due dati principali: 16%, la percentuale delle autrici iscritte ad una qualsiasi delle società di collecting (es. SIAE) in Europa (fonte Keychange) nelle classifiche FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) degli album più venduti del 2018, 2019, 2020 e 2021 le artiste rappresentano rispettivamente il 14%, 14% 11% e 11% all’interno delle prime 100 posizioni Questi dati fanno aprire più di una riflessione. Come detto, Laura Pausini è stata la prima donna in assoluto a suonare a San Siro nel 2007, quindi dopo 27 anni dal quel 27 giugno del 1980. In occasione del suo primo San Siro, Pausini aveva dichiarato: “Io sono orgogliosa di rappresentare tutte le colleghe italiane che verranno su questo palcoscenico, perché questa sera io sono la prima ma non sarò l’ultima […]” È vero, non è stata l’ultima ma ci sarebbero voluti altri 15 anni per vedere un’altra artista italiana esibirsi sullo stesso palco, ovvero Alessandra Amoroso. So bene cosa state pensando: evidentemente non ci sono state altre donne con un seguito tale da poter riempire uno stadio come San Siro.  Non so dire se questa frase sia vera così com’è oppure no, quello che so è che è importante capire il perché di questa situazione, perché al di là di San Siro le donne arrivano a suonare su troppi pochi palchi, seguito o non seguito. Sembra che non abbiano mai i “numeri” giusti. Scorrendo la lista di nomi che hanno avuto la possibilità di fare un concerto al Meazza dal 1980 ad oggi, saltano subito in mente delle assenti eccellenti, penso a:  A) Loredana Bertè, Donatella Rettore, Anna Oxa, Mia Martini, Raffaella Carrà, Gianna Nannini, Giorgia, Ivana Spagna, Irene Grandi, Carmen Consoli, Fiorella Mannoia, Elisa, Emma. Tutte artiste diverse, con generi, proposte artistiche, personalità ed età molto differenti, accomunate principalmente dal fatto di essere donne.  Credo possiamo essere d’accordo sul fatto che siano grandi nomi della musica italiana. Ora pensiamo a questi altri nomi:  B) Modà, Negramaro, Cesare Cremonini, Ultimo, Davide Van De Sfroos, Fedez, Marco Mengoni, Salmo.  Anche questi sono senz’altro grandi personaggi. Tralasciando il dettaglio che alcune delle artiste del gruppo A), se si prendono in considerazione i dati di vendita del decennio 2010-2019 hanno performance migliori rispetto ad alcuni artisti del gruppo B), rimane il fatto che nessun’artista del gruppo A) ha mai suonato a San Siro. Gli artisti del gruppo B) ci hanno suonato tutti. La stranezza di questo confronto porta a farsi la fatidica domanda: perché? [to be continued…] autrice: Francesca Barone Francesca BaroneFrancesca Barone è un’esperta di diritti musicali, di sincronizzazioni e di music business in generale. Professionista dell’industria musicale e della gestione di diritti in ottica business, è attualmente Music Supervisor indipendente per sincronizzazioni di ogni tipo (pubblicitarie, cinematografiche, televisive etc). Precedentemente Content Rights Manager, attuale consulente musicale per Dolce&Gabbana, con più di 16 anni di esperienza nel music business italiano, ha lavorato come Licensing Manager per Universal Music Publishing, come Sync Manager di Extreme Music e A&R per Sony Music Publishing, e come Consulente Musicale per Emi Music Publishing per i cataloghi di production music. È Consulente, docente per diversi corsi in scuole di formazione, scuole di musica e università italiane. Attivista femminista, è co-fondatrice di Equaly.it, la prima realtà ad occuparsi di parità di

Sono stata a San Siro al concerto di Alessandra Amoroso, la 2° donna nella storia della musica italiana a calcare questo palco – PARTE 1 Leggi tutto »