La terza parte di quest’analisi si concludeva con un’affermazione: La tua volontà non basta, La mia volontà non basta.

Il motivo per cui non ci sono tante donne in classifica o sui palchi, non è il risultato della mancanza di volontà delle artiste del nostro tempo, non è il risultato della mancanza di volontà di musiciste in erba che pensano “naaaaa, non mi va proprio. Suonare la mia musica davanti a duemila persone che sono venute apposta a sentirla? Non mi interessa affatto, rimango comunque una donna!”.

Scherzi a parte, pensate che si possa decidere di intraprendere una carriera artistica senza basi economiche? No non si può, non si può nel 2022 come non si poteva ai tempi di Mozart in cui il mecenatismo ha di fatto permesso lo sviluppo di carriere artistiche e la creazione di opere musicali che sono alla base della nostra cultura moderna, nonché il sostentamento economico dei suoi autori.

Un altro tema importantissimo è il tempo.

É importante ricordare che per fare musica e per costruirci sopra una carriera c’è bisogno di tempo; c’è bisogno di tempo per immaginare, creare, lavorare ad un pezzo magari per una settimana intera senza interruzioni. C’è bisogno di fondi, perché il lavoro creativo necessità di tempo per essere portato a termine, tempo che non ti viene retribuito nell’immediato (non è un segreto che molti artisti famosi abbiano potuto godere delle risorse di famiglia messe a loro disposizione).

C’è bisogno di tempo per poter sbagliare, perchè “Isn’t She Lovely” e “Superstition” non sono venute fuori dal genio di Stevie Wonder buona la prima, come si dice; molto probabilmente per una “Sir Duke” ci sono altri 40 brani “sbagliati” (qualsiasi cosa voglia dire) o mai pubblicati, o mai diventati famosi.

Ci vuole tempo (retribuito) per poter lavorare al proprio stile, per poterlo affinare, cambiare, per evolversi come artista e performer, per poter acquisire consapevolezza e fiducia nelle proprie capacità, per poter raccogliere quel che si è seminato, anche banalmente per poter inseguire locali e festival per elemosinare una data.

Bisogna avere la libertà di non dover pensare ad altro, di non dover pensare a come ci si debba vestire, la libertà di non doversi preoccupare di avere delle perdite di sangue se fai un concerto e sei al secondo giorno di mestruazioni, a se si è belle/grasse/magre/brutte/alte/basse oppure no, a cosa si dice, a cosa penseranno gli altri di te, a se quella volta sei stata troppo disponibile, se hai riso troppo, se risulti “arrogante” se dici di essere una cantautrice, se è meglio coinvolgere qualche collega maschio per avere più credibilità etc.

Insomma, bisogna avere un tipo di libertà speciale, una libertà fisica e mentale, la libertà che in questa società puoi conoscere solo se sei un uomo.

E poi c’è l’ultimo tema: le donne sono percepite come un genere, anche musicale, gli uomini sono l’umanità.

Frasi come “le donne fanno musica per donne” o ancora “le donne fanno musica oggettivamente più brutta di quella degli uomini” sono figlie dei peggiori e più radicati pregiudizi sullo sguardo femminile sul mondo. Quel pregiudizio che “tanto le donne parlano di cose da donne alle donne”, mentre gli uomini (non si sa perchè) non sono un genere, loro stessi non si percepiscono come un genere, non hanno uno sguardo parziale ma universale, gli uomini sono l’umanità stessa.

Come puntualizzava la filosofa Simone De Beauvoir nel suo testo fondamentale “Il Secondo Sesso”, lo sguardo maschile sul mondo, che sia uno sguardo politico, letterario o musicale, è sempre stato considerato uno sguardo universale, che ha la pretesa di parlare di tutti e per tutti (anche qui il maschile sovraesteso non è usato a caso).

C’è una logica alla base di questa evidentissima discriminazione in termini? No, non c’è, e parlo di logica, non di motivazioni.

Mentre gli uomini hanno potuto fare della musica la loro professione fin dall’alba dei tempi, alle donne questa cosa è stata sempre sostanzialmente vietata.

Ci sono poche donne in classifica dite voi?

Sì, ci sono poche donne in classifica.

Come accennato, a questo si aggiunge la serie i-n-e-n-a-r-r-a-b-i-l-e di pregiudizi rivolta proprio alle donne che vogliono fare della musica la propria professione.

Se per secoli non era concepibile che una donna facesse la musicista, figuriamoci la compositrice, non possiamo stupirci che oggi, passati pochi decenni da “quei” secoli, la società e la nostra cultura ostacoli e sminuisca le donne che fanno musica e la musica che fanno.

A questo, per farla breve, si aggiungono i pregiudizi e gli stereotipi di cui sopra, del tipo:

  • alle donne non interessa esporsi 
  • alle donne non interessa il successo
  • le donne hanno voci fastidiose 
  • le donne non sono portate per le materie intellettuali; fino a pochissimo (pochissimo) tempo fa le donne erano a tutti gli effetti considerati semplicemente esseri inferiori con precisissime funzioni di procreazione: mogli e madri (non dimenticherò mai i contenuti del vademecum “La sposa cristiana”, un libretto che il parroco del paese aveva consegnato a mia nonna materna poco dopo le nozze; quei diktat non lasciavano spazio all’immaginazione, disegnavano minuziosamente le mura perimetrali di quel carcere chiamato “genere femminile” che le donne dovevano impersonificare senza se e senza ma)
  • le donne non sono portate per le materie scientifiche o per i computer (leggi alla voce: le donne producer sono pochissime)
  • le donne devono essere belle (leggi alla voce se già fai fatica e sei pure “brutta” abbandona l’idea in principio che è meglio)

Ecco un altro fatto interessante che fa capire bene il peso dei pregiudizi nella costruzione della società: prima dell’invenzione delle cosiddette “audizioni cieche”, ovvero l’introduzione di un paravento che celasse le sembianze (e quindi anche il sesso, l’etnia, l’eventuale disabilità, la bellezza, la bruttezza etc.) della persona che ambiva ad un posto di musicista in un’orchestra alla giuria esaminatrice, le donne in orchestra erano praticamente pari a zero.

Siamo nel 1970 circa.

Dopo l’introduzione di questo metodo cos’è successo?

Riferendoci solo alla New York Philarmonic Orchestra, la percentuale di donne in organico è passata dallo 0% al 45%.

Le donne hanno improvvisamente imparato a suonare meglio?

No,

Semplicemente è stato introdotto un elemento che annullasse artificialmente tutti quei pregiudizi che “figurati se io mi faccio influenzare da queste cose, il mio giudizio è sempre obiettivo”.

Non solo il “tuo” giudizio non è obiettivo, ma non lo è al 100% il mio, né quello di nessun’altra persona che sia nata in una qualsiasi società patriarcale.

Nessuno, nessuna, nessunə è al sicuro da questi pregiudizi, mai. Motivo per cui non bisogna dare MAI per scontato di avere un giudizio oggettivo.

Questo articolo non ha pretese, abbiamo solo grattato leggermente la superficie, ma ora ripensiamo alla primissima frase di questo articolo, ovvero che le donne non sono presenti nelle classifiche di vendita, e chiediamoci, davvero, cosa può fare ognuno/a di noi per scardinare i propri pregiudizi, per approcciarsi alla musica, all’artista, all’arte, riuscendo ad accoglierla e a giudicarla per quello che è, al di là del genere, per sentire finalmente cosa ci racconta, e per respirare quel senso leggero di libertà che solo la consapevolezza e l’apertura mentale possono dare.

[the end]

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